A cura di:

Dott. Francesco Iarrera - Responsabile regionale UOL - AIDAP


Nell’ultimo decennio si è sviluppata una corrente ideologica riguardante la corretta alimentazione, con lo scopo di arginare e prevenire i danni legati ad uno scorretto stile alimentare. Le paure legate al cibo sono tante: dalla contaminazione batteriologica all’aumento di peso, passando per l’ecosostenibilità.

Il rapporto con il cibo, da sempre regolato da meccanismi spontanei e naturali diventa motivo di preoccupazioni, non sempre fondate.

In linea con altri paradossi dei nostri tempi, questo tentativo di seguire uno stile alimentare corretto, a volte, è portato all’estremo, tanto da sviluppare un vero e proprio disturbo dell’alimentazione, in grado di pregiudicare la qualità della vita: l’Ortoressia.

Gli ortoressici sviluppano delle regole alimentari, estreme e rigide. Dedicano molto tempo della propria giornata a pensare al cibo: devono sempre trovare delle soluzioni che li mantengano aderenti alle proprie regole, indipendentemente dalle circostanze. Per questo, spesso pianificano con largo anticipo i propri pasti, e per evitare “rischi” di sgarrare arrivano persino a portare con se i “cibi sicuri”, se invitati fuori casa. Altre volte si assicurano di prenotare in posti sicuri, la cui cucina sana è riconosciuta.

E cosi, quello che inizialmente sembra un comportamento vantaggioso scade in una sorta di estremismo alimentare, le cui regole usate per avere il controllo finiscono per controllare la vita della persona.

Mangiare cibo “sano” e “puro”, diventa un obiettivo centrale, un valore in se, tanto che una semplice trasgressione causa sensi di colpa, umore depresso e sentimenti di autosvalutazione. A volte le conseguenze delle violazioni possono essere fisiche, giungendo a somatizzazioni che causano vomito, crampi addominali e nausea.

Con la stessa rigidità concettuale gli Ortoressici giudicano le persone che non condividono il proprio stile alimentare come privi di valore, tanto da indurli a sviluppare un vero disprezzo nei loro confronti.

Seguire le regole alimentari autoimposte rende gli Ortoressici in pace con se stessi, accrescendo la propria autostima. Inoltre, ogni volta che si rimane in linea con tali regole, si rinforzano le regole stesse, alimentando un circolo vizioso da cui è sempre più difficile uscirne fuori.

A complicare il quadro c’è che le regole di riferimento, spesso, sono tratte da fonti discutibili e non scientifiche, autosostenute dal mutuo aiuto informativo che gli Ortoressici traggono da numerosi blog e gruppi internet. Si tratta di portali, quasi mai gestiti da specialisti abilitati, in cui vengono divulgate informazioni relative a una serie di conseguenze disastrose – a volte personali, altre planetarie – se non si mangia in maniera corretta, cioè Ortoressica. Manca del tutto un confronto con la comunità scientifica, accusata di essere al servizio di forze occulte che governano l’economia mondiale per i propri interessi. Al contrario, le loro fonti sono inoppugnabili, e rappresentano l’ultimo baluardo che ci separa dalla distruzione di massa.

Le conseguenze di questo ascetismo alimentare sono molteplici: carenze di vitamine e sali minerali, atrofie muscolari e osteoporosi. Nei casi più gravi si può giungere all’ospedalizzazione. È ancora vivido il ricordo di quella famiglia vegana, il cui figlio neonato è stato ricoverato in uno stato di grave malnutrizione.

I rapporti sociali sono compromessi: accettare un invito a cena o per un aperetivo è una pratica quasi impossibile. Questo compromette i rapporti, li allenta e infine li interrompe, fino a causare, nei casi più gravi un vero isolamento sociale.

Qualora si identifichi un caso di ortoressia non è semplice curarlo. Chi ne è affetto è convinto di agire in modo corretto e funzionale. Illuminante è l’affermazione dei due autori che hanno identificato questa condizione, Bratman e Knight: “Una persona che riempie le giornate mangiando tofu e biscotti a base di quinoa può sentirsi altrettanto pia di chi ha dedicato tutta la vita ad aiutare i senza tetto.”

Il primo passo per la cura è anche il più complesso: diventare consapevoli di avere un problema. Questo non può avvenire attraverso un approccio direttivo e di confronto. È conveniente fare ricorso alla comunicazione motivante (leggi qui e qui), che possiede in se la caratteristiche utili a rendere coscienti che ciò che accade è un problema.

Una volta ingaggiato il paziente, la terapia deve essere volta al ripristino di un comportamento alimentare corretto, ma basato su regole flessibili. Nello stesso tempo è necessario lavorare sui pensieri disfunzionali che regolano questo modello alimentare, così restrittivo e problematico.

I terapeuti della nutrizione possono avere un grosso ruolo nella prevenzione dello sviluppo dell’Ortoressia. È preciso dovere di questa categoria mantenersi aderenti a informazioni e comportamenti basate su solide evidenze scientifiche, senza condividere teorie alimentari talvolta suggestive, ma non affidabili. Sostenere la teoria della moderazione potrebbe essere la chiave per puntare ad un giusto equilibrio. È necessario fare attenzione alla salute e al contempo non rinunciare al piacere che il cibo oggi rappresenta, dal gusto fino alla condivisione di eventi sociali.

Per chi volesse verificare i rischi di sviluppare questo disturbo può compilare il test elaborato a questo scopo.

Fonti

  • Brytek-Matera, A. (2012). Orthorexia nervosa-An eating disorder, obsessive- compulsive disorder or disturbed eating habit? Archives of Psychiatry and Psychotherapy, 4(1), 55-60
  • Bratman S., e Knight D. (2000). Health food junkies. New York: Broadway Books
    American Psychiatric Association. (2014).
  • Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione (DSM-5)