Dott. Francesco Iarrera - Responsabile UOL AIDAP Oliveri, Referente Regionale AIDAP SICILIA


Seduto alla mia scrivania puoi vedere le scale che dal piano inferiore portano alla stanza dell'assistenza ai pasti.


Da alcune settimane le sale anche Maria. Con la testa bassa e nascosta dentro il cappuccio di quella larghissima felpa con il numero sette stampato sul petto. Un misto fra un cantante rap e lo Sean Connery vestito da monaco, nel Nome della rosa.

Lo zaino che si trascina dietro è troppo grande. O forse sono le sue spalle striminzite ad essere troppo piccole. Si aggrappa al corrimano e si arrampica lenta su per le scale, col passo appesantito dai chili persi: l’ultima pesata, appena 35 kg.

Maria segue il programma di assistenza ai pasti. Vive a trenta chilometri dal nostro centro che lei ha battezzato “la tana”, un pò perché si sente al sicuro un pò perché nessuno la vede. Ogni giorno il padre deve accompagnarla e poi riprenderla. Ed era sempre una battaglia. Approfittava delle insonnie notturne per cercare valide ragioni per arrivare in ritardo, scansando così la colazione, e inattaccabili alibi per restarsene a casa, a digiunare. 

Dagli incidenti autostradali, all'avvento del messia, avevo finto di credere ad ogni tipo di scusa.

Se vuoi avere un buon rapporto con queste ragazze, devi fidarti di loro. E devi essere onesto: "Maria, abbiamo un problema. Questa terapia non sembra adatta a guarirti. Richiede una partecipazione attiva e non che tu sia trascinata da noi”.

Ormai la conosco bene e già dal saluto capisco se sarà una giornata buona o da combattimento.

Quel giorno apparteneva alla prima specie.

"Ciao", mi dice, e più che un saluto sembrava un arcobaleno. Di quelli che ti allarga il cuore dopo un acquazzone.

Tira fuori le chiavi della sua 500 e le lancia sulla scrivania fatta di rovere e ulivo. La guardo negli occhi e cerco di vedere dove inizi l'orgoglio e finisca la paura. 

“Da oggi io viaggio da sola”. Ha lottato con le sue emozioni, ha perso contro lo sconforto ed è stata sommersa da un pianto a dirotto.


La storia è semplice: puoi portare un cavallo all'acqua ma non puoi obbligarlo a bere.

Se ti ammali di disturbo alimentare non hai alcuna colpa. Ma se guarisci, devi necessariamente assumertene la responsabilità. Devi salire in macchina e guidare te stessa verso il cambiamento. Nessuno può guarire al posto tuo.

Decidere di cambiare è la salita più ripida della terapia per i disturbi alimentari. Sei al bivio più importante della vita e, dal tuo punto di vista, qualunque decisione potresti pagarla per tutta la vita.

In quei momenti, l'unica cosa che può fare un terapeuta è starle vicino e aiutarla a scoprire che l'unica strada sicura è lontana da questa malattia.