A cura di:
Dott. F. Iarrera - Responsabile regionale UOL - AIDAP
E’ un aspetto a volte sottovalutato, poiché i terapeuti sono maggiormente orientati agli aspetti clinici propriamente intesi.
Vi è evidenza che le caratteristiche dello stile del colloquio influenzano la relazione terapeutica sin dalle prime sedute, e questo rappresenta un fattore predittivo per mantenere o meno un paziente in terapia. Essere gentili, cortesi, sorridenti con il paziente sono elementi che pongono le basi affinché si crei una atmosfera centrata sulla persona. I modi di fare e di porsi del terapeuta sono analizzati dai pazienti con molta attenzione e spirito critico. Così, se il primo impatto è buono, le probabilità di creare una buona relazione aumentano.
Fornire un caloroso benvenuto e considerare il paziente come fosse un ospite ben venuto a casa vostra, accoglietelo con entusiasmo, magari arrivando fino alla porta, presentarsi e salutando con una ferma -ma non eccessiva - stretta di mano. A questo punto, invitateli ad accomodarsi, indicando dove farlo.
“Benvenuto, io sono Francesco Iarrera, responsabile di questa struttura. Sono lieto di conoscerla, Signor Rossi, la prego si accomodi pure.”
Quando si incontra una paziente per la prima volta, bisogna tener conto che egli può portare in studio dubbi, preoccupazioni, scetticismo, sfiducia e talvolta vergogna.
Se notate ansia o disagio nella persona, bisogna impegnare qualche minuto da dedicare ad una conversazione neutrale rispetto ai temi che tratterete in seduta. Questo permetterà di ridurre il disagio e i livelli di ansia.
E’ importante, d’altra parte, che i minuti dedicati a questa fase siano limitati e che non si scada in conversazioni troppo confidenziali. I pazienti hanno bisogno di terapeuti empatici e umani, non di amici terapeuti.
Chiamare il paziente per nome riduce “la distanza dal potere” ed è apprezzato da quasi tutti i pazienti. Tuttavia, non fatelo senza aver chiesto esplicito permesso di farlo.
T: «Posso darle del tu o preferisce che le dia del lei?»
P: «Si, certo, anzi, lo preferisco.»
T: «Bene, ti ringrazio molto.»
Chiedete se la temperatura è adatta o vogliono cambiarla. Se dà fastidio il rumore delle auto, chiudete la finestra. Assicuratevi che il paziente sia comodo, scegliendo sedie con ampia seduta, senza braccioli, che ne facilitino i movimenti e scegliete bilance con larga base d’appoggio. Sono dettagli che contribuiscono a creare la giusta atmosfera, predispongono le condizioni per un buon lavoro e trasmettono attenzione verso la persona.
Dedicate all’incontro il giusto tempo: pensare di poter condurre un buon primo colloquio avendo a disposizione pochi minuti o impegnando ore, non è una buona idea. Nel primo caso avreste appena il tempo per le presentazioni, nel secondo, stanchereste il paziente, perdendo la sua partecipazione attiva in seduta.
Trenta minuti è un tempo adeguato a condurre un buon colloquio di ingaggio. Si tratta di un tempo da considerare al “netto” delle altre attività previste dal protocollo applicato dai diversi terapeuti, è probabile che si debba aggiungere almeno il tempo necessario a condurre l’anamnesi alimentare o a proporre il piano terapeutico.
Disattivate il cellulare e assicuratevi di non ricevere telefonate che interromperebbero il ritmo dell’incontro, trasmettendo al paziente che non è l’unico interesse. Allo stesso modo, chiedete al paziente di spegnere il proprio cellulare.
T: « Dedicheremo circa 30 minuti a capire come possa aiutarla. Io ho spento il mio telefono, se possibile faccia lo stesso con il suo, così non saremo distratti da altro. È d’accordo?»
Malgrado i pazienti si presentino spesso accompagnati, è consigliabile che il primo incontro, avvenga senza terze persone. Gli accompagnatori tendono ad interferire («Glielo dico io com’è, si fidi dottore...») talvolta ponendo giudizi sulla metodica consigliata. Capita ancora che chiedono consigli relativi a problemi che li riguardano. Si tratta d’ingerenze che contrastano una buona relazione terapeutica. Chiedere ad un accompagnatore di non presenziare richiede sensibilità. Scusatevi con l’accompagnatore, spiegando le ragioni per cui è preferibile che l’incontro avvenga in forma individuale, manifestando dispiacere per questa esigenza.
T: «Salve, mi dispiace molto, ma preferisco incontrare la signora da sola, così da porre tutte le attenzioni su di lei. Magari, quando avremo finito, la chiamerò, così da riferirle gli esiti del nostro colloquio.”
In ogni caso, se lo ritenete utile o necessario, potrete incontrare i significativi al termine della seduta, per fornire un feedback relativo agli esiti del colloquio. Qualora il paziente abbia un’età minore di 18 anni, dovranno essere i genitori a concedere il permesso di incontrare il minore senza la loro presenza, e incontrare i genitori al termine del colloquio sarà un obbligo e non una cortesia. Basterà chiedere con garbo ai familiari il permesso e difficilmente lo negheranno.
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